Storia del fondo
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La Biblioteca Piana è così chiamata dal nome del suo possessore, il papa Pio VII, al secolo Gregorio Barnaba Chiaramonti. Possiamo supporre che Gregorio Barnaba Chiaramonti abbia ben presto iniziato a formarsi una biblioteca, che raccoglieva testi di diverse discipline, e che lo seguì nelle varie sedi corrispondenti alla sua carriera ecclesiastica, per finire poi a Roma, al Quirinale. Qui la biblioteca del papa si arricchì con donazioni e con acquisti, tra i quali va ricordata l'acquisizione da parte di Pio VII dei libri a stampa appartenuti al cardinale spagnolo Francesco Saverio de Zelada. In seguito all'occupazione francese di Roma e alla deportazione del papa, essa subì saccheggi e dispersioni. Proprio per aver assistito personalmente ai danni perpetrati anche nei confronti del patrimonio culturale (la biblioteca di Pio VI, ricca di preziosi incunaboli e di manoscritti pregiati, era stata in parte confiscata dai Francesi, in parte dispersa sul mercato antiquario), e per cautelarsi contro possibili future soppressioni, Pio VII stabilì con il Breve del 21 agosto 1821 che la sua biblioteca fosse affidata in uso al monastero del Monte di Cesena, riservandone però la proprietà ai discendenti primogeniti della famiglia Chiaramonti. Alla morte del papa essa fu quindi trasportata nell'abbazia benedettina cesenate, ove rimase fino a quando non entrò in vigore la legge del 7 luglio 1866 che, stabilendo lo scioglimento delle congregazioni religiose, ne passava la proprietà al Demanio, compresa la biblioteca. I Chiaramonti citarono allora in giudizio sia il Demanio sia il Comune di Cesena (in quanto la raccolta era stata depositata presso la Malatestiana), per possesso illegale di beni non facenti parte del patrimonio ecclesiastico, poi nel 1878 stipularono un accordo in base al quale la proprietà della biblioteca di Pio VII restava alla famiglia (che si riservava il diritto di ottenere un'eventuale restituzione materiale), mentre la Malatestiana diveniva ufficialmente il luogo della sua conservazione. Nel 1927 i Chiaramonti pretesero la riconsegna della biblioteca, che venne trasferita nel loro palazzo; nello stesso tempo, a seguito dei Patti Lateranensi e al riconoscimento della personalità giuridica degli enti religiosi soppressi, i Benedettini del monastero del Monte avviarono un'azione legale per riottenerne la custodia. La questione ebbe termine nel 1941, quando gli eredi Chiaramonti decisero di vendere la Biblioteca Piana allo Stato Italiano, che stabilì il suo deposito definitivo presso la biblioteca Malatestiana, anche se non sono mancati nuovi tentativi da parte dei Benedettini di riaverne la custodia. La Piana attualmente comprende 5156 volumi a stampa, tra cui 26 incunaboli e 32 cinquecentine, e 105 manoscritti, di cui 59 medievali. La presenza di uno scarso numero di codici e libri a stampa antichi costituisce un indizio sulla natura di questa raccolta, e soprattutto sull'atteggiamento del suo possessore nei confronti del libro: a differenza del suo predecessore, Pio VI, che si può definire a buon diritto un bibliofilo, Pio VII sembra mostrare più interesse per i contenuti. Si trovano nella Piana, oltre a numerosi testi biblici, di storia ecclesiastica e di patristica, opere di teologia, di catechesi e di apologetica; larga parte hanno gli studi di carattere scientifico, di medicina, agricoltura e scienze sperimentali, così come le opere di archeologia, antiquaria, numismatica, museologia, che riflettono la ben nota passione di Pio VII per le antichità classiche e le belle arti, che gli valse il soprannome di “papa archeologo”. A una prima indagine i testi della Piana sembrano dunque corrispondere agli interessi del pontefice; resta però il dubbio di quanto la raccolta sia il risultato di determinate acquisizioni da parte del Chiaramonti, e quanto invece sia il prodotto di donazioni e di altre accessioni occasionali. A dare uniformità alla Piana sono le legature, che costituiscono una testimonianza unica dell'arte della legatura romana fra rococò e neoclassicismo, e che per la ricchezza dei materiali impiegati (cuoi scelti, seta, velluto, oro) le conferiscono il carattere di biblioteca “d'apparato”. Dei 59 manoscritti medievali e umanistici appartenenti alla Piana, ben 40 provengono da una donazione fatta al papa nel 1814 dal marchese romano Gian Giacomo Lepri. Essi sono descritti in un volumetto che il Lepri unì al dono, dal titolo Descrizione di num° 40 manoscritti, cioè num° 32 membranacei, num° 7 cartacei, e n° unico bombicino, quali vengono devotamente umiliati ed offerti alla Santità di nostro Signore papa Pio VII felicemente regnante dall'infimo dei suoi sudditi il march. Gio. Giacomo Lepri l'anno di nostra salute 1814 (attuale collocazione: Piana 3.206). Il fondo manoscritto della biblioteca Piana comprende anche 46 manoscritti dei secoli XVII-XIX, in particolare 5 sono datati o databili al XVII secolo, 14 al XVIII, 27 risalgono ai primi due decenni dell'Ottocento.
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